Probabilmente tutti conoscete il grande consulente investigativo Sherlock Holmes, nato dalla penna di Sir Arthur Conan Doyle nel 1887, ma in pochi sapete quanto questi racconti siano stati importanti per il piccolo Gianluca che, durante la lettura, rimaneva affascinato dalle capacità di osservazione, di analisi e di ragionamento dell’infallibile detective.

Bene…recentemente ho riletto alcune delle avventure di Holmes e Watson, con altri occhi e altre conoscenze rispetto a diversi (rimaniamo vaghi…) anni fa e soffermandomi su alcuni aspetti comportamentali e relazionali di Sherlock mi è venuta in mente una domanda.

Sherlock Holmes poteva avere l’ADHD?

Nel rispondere a questa domanda prendo in considerazione solo l’Holmes originale, ovvero quello dei libri di Conan Doyle, in quanto molto è stato scritto e rappresentato in altre forme (serie tv, film, teatro, ecc…).

Ad esempio, nella serie “Sherlock”, una serie che ripropone le opere di Conan Doyle in un contesto moderno, un Holmes interpretato da Benedict Cumberbatch si descrive come “sociopatico iperattivo”.

Non tanto la parte del “sociopatico”, ma la parte dell’“iperattivo”, potrebbe essere una potenziale prova a favore della tesi inziale, ma volendo prendere in considerazione solo l’Holmes dei libri non ne terrò conto.

Ma cominciando dall’inizio…

Che cosa è l’ADHD?

L’ADHD, Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività, rientra nella categoria dei disturbi del neurosviluppo e, in letteratura, è presente nel 5% dei bambini.

Il DSM 5, il manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali, individua come sintomi principali l’incapacità a mantenere l’attenzione, comportamenti impulsivi e disregolazione emotiva.

Da questi criteri derivano 3 sottocategorie differenti:

  • ADHD con predominanza di disattenzione quando il problema centrale del bambino è proprio il deficit attentivo. L’attenzione focalizzata e l’attenzione sostenuta risultano essere le più compromesse, ma anche funzioni esecutive, come la pianificazione e la memoria di lavoro, sono deficitarie. Questa discontinuità dell’attenzione compromette l’apprendimento, non permette lo sviluppo di abilità cognitive come il problem solving e di strategie comportamentali adeguate ad instaurare relazioni soddisfacenti con gli adulti ed i compagni.
  • ADHD con predominanza di impulsività e iperattività quando si riscontra nel bambino un’attivazione motoria eccessiva ed inappropriata, parla continuamente e ha difficoltà nell’inibizione delle risposte e nel rispettare regole e turni.
  • ADHD di tipo combinato, che presenta entrambe caratteristiche miste di entrambe le sottocategorie precedenti
ADHD nell’adulto

Se una volta si pensava che questi sintomi potessero poi “scomparire” (o mitigarsi molto) con la crescita e lo sviluppo, le evidenze scientifiche ci mostrano che, al contrario, possono proseguire con l’età adulta.

Circa il 4-5% degli adulti ha una diagnosi di ADHD e, in questo caso, la sintomatologia non è identica a quella mostrata nell’infanzia, ma fanno la loro apparizione nuove particolarità che caratterizzano il quadro adulto.

Le caratteristiche che maggiormente si presentano nell’adulto sono:

  • Disattenzione che si manifesta in diverse forme come scarsa capacità nel prestare e mantenere a lungo l’attenzione e nel portare a termine i compiti, distraibilità, tendenza ad evitare impegni che richiedono un prolungato sforzo mentale, difficoltà a focalizzarsi sul tema principale di un discorso o di una situazione, ecc…
  • Agitazione, difficoltà a stare seduto, impulsività, non rispettare i turni di parola, essere logorroici e parlare senza “filtri”, disorganizzazione nel pensiero e nell’azione, frustrazione immediata di fronte a rumori o a determinate situazioni sociali
  • scarse capacità sociali e di lettura delle proprie e altrui emozioni
  • sensazione di noia e senso di insoddisfazione, disregolazione emotiva

Tutto ciò porta la persona a convivere con un forte senso di disagio e ad avere maggiori probabilità di avere difficoltà nel lavoro, nelle relazioni e di autostima.